lunedi , 22 ottobre 2001
VARIE


L' Aga Khan: «Mi stupisce l' ignoranza sull' Islam»

La guida degli ismailiti: non c' è un conflitto di civiltà bensì di reciproci pregiudizi e stereotipi I TALEBANI «Sul Corano si condannano da soli» Il Corano vieta l' imposizione di una pratica religiosa o di una fede: per questo il regime dei talebani si condanna da solo, ma è sbagliato associarlo a Bin Laden e associare Bin Laden all' Islam IL VELO «Una tradizione nel rispetto della donna» Certo le differenze con l' Occidente esistono ma bisogna guardare all' essenza e al significato etico di regole e principi. Il velo per le donne è una tradizione antecedente all' Islam, introdotta in segno di rispetto
Nava Massimo

ATTACCO AL TERRORISMO L' INTERVISTA E' il quarantanovesimo discendente di Maometto, una delle principali autorità spirituali dei musulmani sciiti «Forme di estremismo religioso possono nascere dal senso di frustrazione del mondo arabo per i problemi irrisolti» L' Aga Khan: «Mi stupisce l' ignoranza sull' Islam» La guida degli ismailiti: non c' è un conflitto di civiltà bensì di reciproci pregiudizi e stereotipi PARIGI - E' una delle autorità spirituali dell' Islam che meglio conosce terre e popo li dell' Asia centrale, l' area che tiene il mondo con il fiato sospeso. E' l' Imam, capo religioso e guida degli sciiti ismailiti, le cui comunità sono sparse in diversi Paesi dell' Asia e dell' Africa ma anche in Europa e in Nord America. Nell' are a tra l' Iran, il Pakistan, il Tajikistan, l' Afghanistan e la Cina occidentale vivono oltre cinque milioni di ismailiti. Sua Altezza l' Aga Khan, è il quarantanovesimo Imam, discendente diretto di Maometto attraverso Ali, suo cugino che sposò Fatima , figlia del Profeta. L' Aga Khan è impegnato in ambiziosi progetti sociali, economici ed educativi mirati al sostegno e allo sviluppo umano nei Paesi del terzo mondo, dal Mozambico alla Tanzania, dal Pakistan alle ex repubbliche sovietiche del Tagik istan, Kyrgjstan, Kazakistan, dal Bangladesh all' India. Uno di programmi di sviluppo socio economico attuati nelle aree rurali del nord Pakistan nella Regione dell' Hunza, ha ottenuto il riconoscimento della Banca Mondiale e il modello è stato «espo rtato» con successo in molti altri Paesi. Il Corriere lo ha incontrato ad Aiglemont, sua residenza e segreteria delle molteplici attività istituzionali. Una splendida tenuta immersa nelle foreste che circondano il castello incantato di Chantilly, a n ord di Parigi. Sembrano lontani i quartieri maghrebini della periferia, eppure così vicini, in Francia come in tutto l' Occidente, al cuore del problema, il confronto fra religioni e culture, non mediato dal benessere e dalla conoscenza, per questo t erreno favorevole alle bandiere dell' intolleranza e dell' esclusione. Da questa specie di centro direzionale, l' Aga Khan dirige la sua «Development Network», rete d' iniziative e istituzioni dedicate al miglioramento delle condizioni di vita dei Pa esi in via di sviluppo. Opera a tutto campo con interventi dall' emergenza umanitaria allo sviluppo economico, dall' educazione alla sanità, nella convinzione che «ovunque nel mondo, l' instabilità etnica e religiosa è largamente promossa dalla pover tà. Se c' è povertà non c' è speranza nella vita. Le tensioni, i conflitti etnici e religiosi, la violenza trovano terreno fertile in contesti di povertà e d' ignoranza». Stessa origine anche per il regime dei talebani? «Conosco bene la situazione. I talebani sono un fenomeno singolare che trae origine dall' asse tra il mondo arabo e il Pakistan. Loro hanno imposto una interpretazione dell' Islam mai prima imposta alla popolazione afghana e che non è mai esistita nel contesto teologico del Paese fino a qualche decina d' anni fa. Sono una realtà singolare che non può essere considerata rappresentativa della generalità della comunità islamica del territorio. Siamo impegnati da anni in quest' area, dove è concentrata parte della nostra comunit à. In Afghanistan vivevano tra 750.000 e un milione di Ismailiti prima della guerra e anche la nostra gente è stata costretta a fuggire. In Afghanistan, centinaia di migliaia hanno subito persecuzioni, siamo stati spettatori diretti di un disastro um ano e civile». Come spiega il legame fra il regime religioso e il terrorismo di Bin Laden? «Il conflitto con l' Unione Sovietica dopo l' invasione dell' armata rossa, l' aiuto e l' addestramento militare fornito anche dall' Occidente ai mujahiddin, c ombattenti volontari arrivati anche da altri Paesi e, dopo il ritiro dei sovietici, in pratica la guerra civile fra fazioni etniche. L' Afghanistan è stato abbandonato al proprio destino. Nessun aiuto economico, nessun supporto alla ricostruzione del le istituzioni politiche, nessuna iniziativa internazionale. Un destino che hanno rischiato anche le ex repubbliche sovietiche che circondano le frontiere del nord la cui fragilità organizzativa e politica avrebbe potuto favorire l' ingerenza dei tal ebani. Quando abbiamo cominciato a lavorare in quest' area, ci siamo immersi in uno scenario di povertà immensa, di conflitti culturali e tensioni latenti fra gruppi etnici e religiosi costretti a vivere a stretto contatto nel campo dei rapporti soci ali. Ad esempio, nelle repubbliche dell' Asia Centrale, i russi avevano assicurato la parità sociale alle donne, però, a pochi chilometri di distanza, le donne hanno continuato a vivere secondo la tradizione del luogo. L' Afghanistan, abbandonato da tutti e conquistato dai talebani, è diventato un immenso campo d' addestramento del terrorismo internazionale, utilizzato in varie situazioni, a più riprese e per scopi diversi ed è ancora oggi il grande crocevia della droga». Ma il regime dei taleba ni si fonda su un' interpretazione rigorosa del Corano, in un certo senso il regime è una teocrazia assolutista. E Bin Laden, che i talebani proteggono, si presenta come un eroe della guerra santa. Il terrorismo sembra anche figlio dell' estremismo r eligioso. «I conflitti nel pianeta non sono un problema che riguarda soltanto l' Islam. Basta rileggere la storia e osservare il mondo di oggi. Irlanda, Sri Lanka, Kashmir, Cecenia, Balcani, Africa. La religione può diventare uno strumento di conflit to, ma raramente nel mondo odierno ne è la causa primaria. E' vero che forme di estremismo religioso nascono anche dalla frustrazione del mondo arabo per i problemi irrisolti, quello palestinese innanzi tutto. Quando la sofferenza e i conflitti inter ni sono durevoli, inevitabilmente si internazionalizzano. Ma il regime dei talebani in Afghanistan è frutto di un fallimento: del mondo civile, della Comunità internazionale. Nessun individuo, nessun Paese o organizzazione internazionale, a prescinde re se islamica o no, che hanno cercato di confrontarsi con loro - e ce ne sono state diverse - hanno avuto successo nel convincerli che i loro modi erano contrari ai principi ed obiettivi accettabili di una società umana moderna». Come spiega la prud enza del mondo islamico nell' esprimere un' esplicita e totale condanna dei talebani? «Quando si parla di Islam si fanno spesso generalizzazioni prive di fondamento. Si sottovaluta un pluralismo politico, religioso e culturale non lontano dal plurali smo presente nella cristianità e nell' Occidente. Molti Paesi islamici hanno anche tentato di cambiare la situazione in Afghanistan, ma è evidente che il regime di Kabul è stato anche condizionato da strategie e finanziamenti esterni anche da parte d i alcuni contesti musulmani per quanto gli stessi non rappresentino nel modo più assoluto la totalità del mondo musulmano. La condanna del terrorismo e del sistema di governo dei talebani mi sembra chiara e abbastanza unanime. Altra cosa è esprimere una condanna della pratica strettamente religiosa dei talebani: nessun musulmano ha il diritto di giudicare il modo di praticare la fede di un altro». Secondo diversi studiosi, è proprio l' assenza di un' autorità spirituale che «scomunichi» l' estre mismo il principale ostacolo all' evoluzione dell' Islam. E' d' accordo? «Il problema è mal posto e non riguarda i fondamenti dell' Islam. Nella confessione sciita peraltro si esalta il valore dell' intelletto, della guida spirituale, quindi dell' in terpretazione. Ma il pensiero occidentale tende a confondere il legame fra spirituale e temporale con una sorta di rapporto fra Stato e Chiesa. Sono piani diversi, che coinvolgono la sfera individuale e la comunità in cui si vive, non l' autorità pol itica dello Stato. Il Corano vieta di giudicare il modo di praticare la fede di un altro musulmano, ma vieta anche l' imposizione di una pratica religiosa o di una fede. Nel mondo islamico, circa un quinto della popolazione della terra, ci sono esemp i più significativi di pratiche religiose che rispondono ad una concezione morale della fede. Il Corano prescrive l' etica della responsabilità, un obbligo per coloro che hanno autorità nella vita civile a favorire benessere e sviluppo della propria comunità. Cosa che i talebani non hanno fatto e per questo il loro regime si condanna da solo. In tali condizioni l' Islam dice anche che la fiducia nell' autorità deve essere ritirata». Il mondo occidentale s' interroga su un possibile conflitto di civiltà, fra concezioni della società e della morale ritenute inconciliabili. Che cosa si sentirebbe di spiegare o di rimproverare all' Occidente? «Io sono un musulmano che vive in Occidente e mi interrogo costantemente sul come e perché di questa si tuazione. Le relazioni politiche ed economiche fra Occidente e mondo islamico dimostrano che esistono buoni rapporti con diversi Paesi e anche forti legami. Non c' è un conflitto di civiltà, bensì una grande dose d' ignoranza, di scarsa volontà di ap profondire la reciproca conoscenza. E' un conflitto di stereotipi e di pregiudizi, non di civiltà. Oggi, anche nei giornali, molti spiegano e commentano. Ma quanti, ad esempio, conoscono la differenza fra sciiti e sunniti, fra jihadismo (fondamentali smo, n.d.r.) e radicalismo, fra mondo arabo musulmano e popoli asiatici e africani musulmani? C' è grande confusione, nelle scuole e nelle università, dunque nelle fonti della cultura generale in Occidente, non si educa sul mondo musulmano e si perde di vista un principio fondamentale del Corano: l' etica, l' educazione alla testimonianza della fede in ogni attimo della vita, con comportamenti coerenti. Anche per questo l' Islam non si è secolarizzato come la cristianità. Noi non distinguiamo fr a attività terrene e spiritualità, non avvertiamo la questione della scelta, secondo la concezione di Sant' Agostino. Ma le diversità di concezioni ci sono anche nella cristianità. La diversità, se stimola il confronto e l' incontro, è un valore posi tivo. Capire il mondo musulmano e la fede dell' Islam, per l' Occidente, è capire prima di tutto il pluralismo dei popoli e le loro interpretazioni ed evitare di considerare i talebani quali rappresentanti l' intero mondo musulmano. Quale potrebbe es sere la reazione in Occidente se un musulmano affermasse che l' inquisizione e l' Ira sono rappresentativi del mondo cattolico?» Ci sono però aspetti della società islamica su cui l' Occidente non può fare a meno d' interrogarsi. Qualche esempio: la crescente presenza di moschee in Occidente e le difficoltà di costruire chiese nel mondo islamico, la condizione della donna, lo sviluppo delle istituzioni democratiche, la libertà dei mass media. «Anche su questi aspetti non è possibile generalizzar e, perché questo porta a considerare un sistema migliore di un altro, non si capisce però sulla base di quali criteri morali. La nostra comunità e le istituzioni che abbiamo creato - e non siamo certamente gli unici - sono un esempio di apertura, sen za distinzione di razze, sesso e religione. Abbiamo costituito la prima università sopranazionale, l' Università dell' Asia Centrale, con il Tagikistan, il Kyrgjstan e il Kazakistan, che sarà al servizio di una popolazione di trenta milioni, sparsa i n tutta la regione. Un' opportunità per far crescere una classe dirigente preparata alla gestione di un territorio di alta montagna che include anche la Cina occidentale, l' Afghanistan, l' Iran e la Turchia. L' Islam conosce evoluzioni diverse in mo lti angoli del mondo, anche se la sfida della modernizzazione e della globalizzazione viene in alcuni ambienti vissuta come paura dell' occidentalizzazione e di perdita d' identità. La cristianità si è sviluppata in passato in diverse aree del Medio Oriente, dal Libano all' Iraq e in Africa, specialmente durante il periodo del colonialismo. Certo, le differenze con l' Occidente esistono, ma bisogna guardare all' essenza e al significato etico di regole e principi. Dovremmo interrogarci sul valor e etico e sulla decadenza di una società senza regole. Il velo, per le donne, è una tradizione antecedente all' Islam, introdotta in segno di rispetto, non di sottomissione, contro una concezione della donna come oggetto della società maschile». Su q uale terreno si possono trovare punti d' incontro? «La necessità di riconoscere gli standard etici della società è un' esigenza comune. Se i valori etici crollano, la stessa società crolla e ciò è dimostrato dalla storia dell' umanità. Io penso che l e religioni monoteiste, avendo un comune riferimento di un unico Dio, possano e debbano dialogare. Le tre religioni che si ispirano ad Abramo hanno molto più in comune di quanto non le separi. La religione deve essere il mezzo per affermare il signif icato etico dell' esistenza, indipendentemente dalla propria professione di fede. Se vogliamo sviluppo sociale, incontro, dialogo, pace, non possiamo prescindere dall' etica e dalla funzione che hanno l' educazione e la cultura nella crescita sociale . Il mio è un messaggio di speranza e, per quanto non di facile realizzazione, non è utopia». Intanto parlano le armi e bisogna risolvere il problema Bin Laden. Lei approva il bombardamento dell' Afghanistan? «E' noto a tutti che esistono diverse ret i di terrorismo internazionale che tendono a crescere e che hanno quale obiettivo la destabilizzazione. Il cancro è un fenomeno della vita umana, se non lo si cura per tempo diventa invasivo e terminale. Analogamente, situazioni come quella dell' Afg hanistan fanno parte della storia dell' umanità. Certamente c' erano altre soluzioni ma bisognava intervenire con coraggio prima. Nessuno può dire che non sapeva. Oggi spero che, una volta eliminato il "cancro", la Comunità internazionale si preoccup i davvero del futuro dell' Afghanistan, dei profughi, della ricostruzione del Paese, della preparazione di una classe dirigente e di istituzioni democratiche. Tutte le etnie devono poter tornare alle proprie terre d' origine, crescere nella sicurezza , avere il diritto di professare la propria religione, poter fruire di un valido sistema educativo e di opportunità di sviluppo economico. E' fondamentale la completa eliminazione della coltivazione e del traffico di droga, principale fonte di finanz iamento della guerriglia e del terrorismo». Ritiene che in questo scenario possa essere decisivo il ruolo dell' Alleanza del Nord? E pensa che il Re dell' Afghanistan, oggi in esilio in Italia, possa avere un ruolo nel rilancio del Paese? «L' Alleanz a del Nord è stata già decisiva perché ha impedito ai talebani di impadronirsi completamente del Paese e impedendo altresì l' occupazione dei territori dei Paesi limitrofi evitando così la ramificazione del "tumore". Purtroppo ha perso un uomo come M assoud, uno dei pochi a rendersi conto della necessità di passare da una fase militare alla costruzione di un progetto di sviluppo sociale. D' altronde, l' Alleanza del Nord non rappresenta e non pretende di rappresentare l' intera popolazione del Pa ese. Un governo di transizione, dunque, dovrà avere delle basi etniche e religiose che possano rappresentare la pluralità afghana. In questi anni di attività nella regione, abbiamo conosciuto e costruito rapporti anche con altri leader e altre comuni tà interessate alla pace e allo sviluppo. Per l' Afghanistan, sono convinto che il Re Zahir Shah sia una figura importante, perché ha la fiducia della grande maggioranza della popolazione afghana esclusi ovviamente alcuni gruppi di estremisti. E' evi dente che qualsiasi nuovo governo avrà bisogno comunque del sostegno rigoroso dell' Onu così come sarà altrettanto essenziale che possa contare su un programma di ricostruzione sociale ed economica equo per tutte le etnie afghane e realizzabile in te mpi più brevi possibile. La qualità e la velocità degli interventi saranno fondamentali per dare al nuovo governo forza e credibilità nei confronti della popolazione» Massimo Nava

Arretrati